APPELLO PER L'EVACUAZIONE DEGLI SCHIAVI AFRICANI BLOCCATI IN LIBIA
Scontato il fatto che le politiche neocolonialiste creano i presupposti sociali ed economici perché la gioventù africana sia facilmente attratta dal miraggio dell'emigrazione irregolare. Scontato il fatto che le leggi e le politiche dell’UE sin dalla metà degli anni ’80 hanno l’obiettivo di favorire l’immigrazione irregolare, chiudendo le principali vie d’accesso legali.
Scontato il fatto che tali politiche siano state attuate in concomitanza con la mancata cancellazione del debito dei Paesi africani e il conseguente neocolonialismo ottenuto anche attraverso la corruzione della classe politica africana e la militarizzazione delle aree più strategiche con il pretesto della lotta al terrorismo. Vogliamo ricordare la drammatica situazione dei 700.000 lavoratori e lavoratrici africani bloccati in Libia.
EVACUAZIONE PERCHE’: LA SELEZIONE NATURALE
Sin da quando nel settembre 2018 “Exodus - fuga dalla Libia” ha cominciato a pubblicare i messaggi vocali dei migranti-schiavi in Libia, è apparso chiaro quanto la richiesta unanime fosse l’evacuazione, parola perlopiù assente, al contrario, nel dibattito europeo, sia istituzionale che movimentista. Evacuazione è una parola chiave per un paio di motivi.
Ormai sono tutti consci che la traversata sui gommoni sgonfi non è altro che selezione naturale. Va da sé che la selezione naturale non può essere principio su cui organizzare qualsiasi tipo di assistenza.
Questi gommoni non sono nemmeno in grado da soli di coprire la distanza tra le coste libiche e Lampedusa, ma si afflosciano neanche a metà strada a causa del raffreddamento dell’aria con cui sono pompati e vanno a fondo spesso senza lasciare traccia.
Un simile ricatto, quando spesso quello è l’unico modo per fuggire dal Paese, è una sofferenza
inutile inflitta a questo popolo in trappola. Non solo, nella maggior parte dei casi i gommoni vengono recuperati dalla Guardia costiera libica o da qualsiasi altro privato libico dotato di un’imbarcazione e riportati a terra dove molto spesso ritornano nelle mani degli aguzzini che li sottopongono a tortura a scopo di estorsione o li vendono come schiavi.
Questa pratica dell’attraversamento del Mediterraneo sui gommoni sgonfi va pertanto fermata, come chiesto a “Exodus” in decine di messaggi vocali. Come questo lavoro prova, del resto, la quasi totalità dei migranti in Libia accedono a internet e utilizzano i social. E’ in questo modo che possono venire a conoscenza dell’attività delle navi di salvataggio in mare e pertanto cedere alla tentazione di rischiare la vita. Questi canali di comunicazione via internet dovrebbero al contrario servire per realizzare una campagna che non li spinga a rischiare la vita ancora una volta, ma piuttosto a rivolgersi a soluzioni alternative. Soluzione alternative che però latitano. Quando gli Africani in Libia chiedono evacuazione, significa che coloro che hanno diritto d’asilo, stimati intorno a 50mila in Libia secondo l’UNHCR, dovrebbero essere evacuati via aereo verso le principali capitali europee all’interno di una iniziativa dell’UE che aggiri l’accordo di Dublino e consenta a chi ha diritto alla protezione internazionale di volare in tutta sicurezza da Tripoli verso le principali capitali degli Stati europei.
EVACUAZIONE PERCHE’: LA SCHIAVITU’
Ormai molti hanno capito bene, dopo anni bloccati in Libia, qual è il sistema che si regge in Tripolitania e non hanno alcuna speranza che le cose possano cambiare. Dei 700mila africani subsahariani presenti sul suolo libico riportati dall’UNHCR, nel 2020 solo 10mila di loro hanno raggiunto l’Europa via mare, pari a 1 su 70. Per questo motivo, la grande maggioranza deI giovani africani che provengono dall’Africa Occidentale tuttora sul suolo libico sta chiedendo disperatamente di essere rimpatriata. Ognuno di loro è arrivato ormai in Libia anni fa, tradito da connazionali appartenenti alle reti mafiosi africane che l’hanno venduto alle milizie, sottoposto negli anni più volte a tortura a scopo di estorsione e nel restante tempo ridotto a schiavo o a fuggiasco. Di fronte a questo scenario che l’Europa e il mondo non vogliono nemmeno prendere visione, il resto degli africani subsahariani in Libia che oggi non può accedere alla protezione internazionale chiede perlomeno di essere rimpatriata.
LA TUNISIA: DA CORRIDOIO MANCATO A NUOVA TERRA DI EMIGRAZIONE
Alcune migliaia di giovani africani neri dalla Libia sono fuggiti alla spicciolata verso la Tunisia. Presi contatti con l’UNHCR in Tunisia e con altre organizzazioni presenti, non ricevono rassicurazioni circa rimpatrio o ricollocamento e dopo anni di attesa si decidono per la traversata dalla Tunisia. La minore distanza, l’utilizzo di piccole imbarcazioni di legno anziché i gommoni sgonfi della Libia e la disponibilità di alcune famiglie tunisine, ha fatto registrare negli ultimi mesi un numero crescente di sbarchi spontanei a Lampedusa e sulle coste siciliane. Sbarchi spontanei che però stridono con la presenza a Lampedusa di un enorme dispositivo di controllo militare.
Questo è solo uno degli sbocchi spontanei e carico di rischi a cui ha portato una politica irresponsabile nei confronti dei giovani neri africani bloccati da anni in Libia. Questo perché chi si trova in Libia oggi non si trova propriamente in una dinamica di migrazione, ma in una dinamica di schiavitù e la priorità diventa uscirne, verso qualunque direzione, e non aspettare il momento giusto per proseguire.
IL PATTO SCELLERATO: IL PETROLIO IN EUROPA, GLI SCHIAVI IN AFRICA
Sappiamo bene che l’impunità di cui godono le milizie della Tripolitania è condizione necessaria perché possano contrabbandare fino al 40% del petrolio libico, così come denunciato più volte da Mustafa Sanalla (direttore del NOC - National Oil Corporation). Sappiamo bene che questa impunità si riversa poi sul trattamento dei migranti, ridotti a merce da cui trarre altro profitto attraverso lavoro forzato non retribuito e tortura a scopo di estorsione. Sappiamo bene che la maggioranza dei cittadini libici anche a Tripoli invoca per prima cosa lo smantellamento delle milizie, alle quali ora si sono aggiunti 20 mila mercenari siriani aviotrasportati in Libia dalla Turchia in barba all’embargo deciso nella conferenza di Berlino dello scorso gennaio. Sappiamo bene che non ci potrà essere nessuno smantellamento delle milizie né tanto meno arresto di criminali e trafficanti finché i vari governi che si succedono a Tripoli sono illegittimi e calati dall’alto dalla “comunità internazionale” con l’avallo dell’ONU, perché siano ombrello a quelle milizie, a quei criminali e a quei trafficanti che assicurano il supporto militare necessario per restare in carica.
Sappiamo del resto che garantire l’impunità a quelle milizie è interesse anche delle economie, emerse o sommerse, di Europa e Turchia, che in questi anni hanno beneficiato del 40% del petrolio libico sotto banco e sotto costo. Sappiamo infine molto bene che la conferenza Berlino 2 ha sancito l’occupazione militare della Turchia in Tripolitania (2 basi e 4 porti in regime di extraterritorialità) e che l’Italia supporta formazioni militari irregolari a Tripoli legate all’Isis allo scopo di ottenere dalla Turchia le briciole del futuro petrolio libico.
CHIEDIAMO PERTANTO
- Lo stop alle traversate sui gommoni della morte non attraverso l’intervento della Guardia costiera Libica, ma come conseguenza dell’arresto dei trafficanti presenti in Libia e attraverso una vasta campagna in internet che fornisca ai giovani africani in Libia informazioni corrette su ciò che stanno attraversando.
- Il rimpatrio immediato di tutti i lavoratori e le lavoratrici africane in Libia che ne facessero richiesta.
- Il ricollocamento con voli aerei verso Europa o Paesi terzi di chi in Libia è già riconosciuto titolare della protezione internazionale.
- Il ritiro del sostegno italiano al governo Dabaiba, ombrello all’occupazione turca della Tripolitania e alle cosiddette “forze libiche” composte da mercenari siriani e milizie jihadiste legate all’Isis.
luglio 2021