ARRISPIGGHIATIVI
Il nuovo album di Giacomo Sferlazzo
dedicato a Pasquale "U Pachinu" De Rubeis
"Assettati e cuntam'u fattu"
di Fabrizio Fasulo
Pasquale sapeva guardare. Scrutava attento, in silenzio, stringendo gli occhi a due fessure, col mento assorto poggiato sul pollice della grande mano, mentre la sigaretta accesa mandava in alto volute di fumo sottile. Sapeva guardare lontano, indietro, in quel passato il cui peso e la cui storia troppo facilmente sono stati dimenticati. Un giorno parlavamo di fronte ad un edificio che in passato aveva ospitato i detenuti coatti trattenuti sull’isola: non vi era nessuna visibile testimonianza di quell’umanità che in quei luoghi aveva sofferto, nessun segno che parlasse della storia di quel luogo e quindi anche della comunità. Lui mi disse: «Lo senti? Queste pietre fanno ancora puzza di sangue e di sudore. Alla gente non interessa».
Solo chi ricorda i giorni trascorsi sa guardare lontano, tentando di fare futuro. Una volta mi disse che abbiamo fatto troppo male al mare. Mi disse che nei suoi anni imbarcato sulle petroliere aveva contribuito a tale sofferenza. Anche per questo, forse, costruiva spazi liberi con quello che trovava e che la società del valore di scambio considera rifiuti. Toglieva la plastica dall’isola e costruiva case, giocattoli, creava opere.
Arrispigghiativi: il nuovo album del cantautore di Lampedusa Giacomo Sferlazzo riporta con forza nel presente la necessaria solidità di una tradizione musicale e artistica, quella popolare siciliana, che troppo spesso viene relegata ad un folclore che ne appiattisce ogni profondità storica e che la depura dal suo valore conflittuale.
Un disco che nasce nei suoni prodotti dal costante vento di Lampedusa, nel suo “azzurro dilatato” carico delle tensioni che si dispiegano nel contemporaneo. Lampedusa che cerca sua madre tra l'Africa e l'Europa e la riconosce invece nella Sicilia, sintesi e laboratorio di culture, avamposto militare dei vari imperi che si sono susseguiti, mitica e magica fin dalle sue origini. Una Sicilia che oggi con le sue basi militari come quelle di Sigonella e dell'impianto Muos è l'emblema della guerra disumanizzata del nuovo millennio, che un brano come “Ritmo rivoluzionario” racconta dal punto di vista dei militanti No Muos.
I suoni di strumenti popolari come il mandolino, il marranzano , la sciaramedda (la cornamusa siciliana), il “friscalettu” a volte tessono le trame che tengono tutta l'ossatura della canzone popolare tradizionale, altre volte si fondono con bassi e batterie elettroniche fino a divenire house music.
I testi rimangono fedeli al percorso di Sferlazzo che guarda in questo caso alla poesia di Buttitta e ai lunghi racconti/canzone di cantastorie come Ciccio Busacca pur tenendo fermo il suo punto di vista di chi vive e affronta quotidianamente la frontiera. Il dialetto di Sferlazzo non è solo il siciliano ma è precisamente il lampedusano e nei suoi versi si può riconoscere il suono del mare, il lamento degli ultimi della terra e la gioia che porta una giornata di bonaccia dopo una tempesta.
CREDITS:
Giacomo Sferlazzo: voce, chitarra, percussioni, marranzano, chitarra conchiglia, chitarra albero.
Jacopo Andreini: batteria, percussioni, bassline, drum machines, synth, sax alto e baritono, bouzouki, chitarra elettrica, tastiera,arrangiamenti.
Piero Spitilli: basso elettrico, contrabasso.
Samuele Venturin: fisarmonica.
Antonio Putzu: friscareddu, duduk, xaphoon, clarinetto, sciaramedda.
Barbara Balistreri: voce.
Giovanni Costantino: percussioni.
Silvio Natoli: viella, arciliuto, lira calabrese.
Achref Chargui: oud.
Antonio Bordo: mandola, mandolino.
Gianluca Vitale: voce.
Luciano Cannia: voce.
Salvatore Monelli: voce.
Ruben Caliandro: tromba.
Valentino Receputi: violino.
Nicoletta Mecca: sousaphono
Alessandra Balistreri - Annalisa D'ancona
Abele Sferlazzo - Loredana Fragapane: cori.
Gianluca Lopez: risata.
Tutti i testi di Giacomo Sferlazzo tranne: U violu di Vito Gallo e A siminzina; Tri tri tri; La me zita; Abbalati tratti dai canti popolari siciliani.
Tutte le musiche di Giacomo Sferlazzo e Jacopo Andreini tranne: U violu di Giacomo Sferlazzo e Pasquale De Rubeis, La me zita (popolare), U Santuariu da Madonna di Portu Salvu d'Ampidusa e Mi scurdaiu a me figghiu a scola di Giacomo Sferlazzo.
Registrato e mixato da Jacopo Andreini con il suo Afoforo Mobile Studio presso: Associazione Il Melograno (FI), Maison Makutsu (Pomino), Scuola "Capitano Polizzi" di Partinico (PA) (grazie a Laura Giammona), Casa del Popolo di Settignano, e grazie alla disponibilità delle case di Daniele Marchetti (Vicopisano), Ruben Caliandro (Pontassieve), Nicoletta Mecca (Osteria Nuova), Piero Spitilli (FI), Roberta Pirini (FI), Eleonora Uccella (Cellai), Samuele Venturin (Ristonchi), Giacomo Sferlazzo (Lampedusa).
Le voci di Ritmo rivoluzionario sono state registrate da DJ SEBY presso ArteSuoniStudio
mastering di V Fisik @ Hombrelobo studio (Roma)
cover di Alice Valenti
disegni di Francesco Piobbichi
retro cover di Giacomo Sferlazzo
website
testi
press kit
Digital Album
Streaming + Download
Includes unlimited streaming via the free Bandcamp app, plus high-quality download in MP3, FLAC and more.
"Assettati e cuntam'u fattu"
di Fabrizio Fasulo
Pasquale sapeva guardare. Scrutava attento, in silenzio, stringendo gli occhi a due fessure, col mento assorto poggiato sul pollice della grande mano, mentre la sigaretta accesa mandava in alto volute di fumo sottile. Sapeva guardare lontano, indietro, in quel passato il cui peso e la cui storia troppo facilmente sono stati dimenticati. Un giorno parlavamo di fronte ad un edificio che in passato aveva ospitato i detenuti coatti trattenuti sull’isola: non vi era nessuna visibile testimonianza di quell’umanità che in quei luoghi aveva sofferto, nessun segno che parlasse della storia di quel luogo e quindi anche della comunità. Lui mi disse: «Lo senti? Queste pietre fanno ancora puzza di sangue e di sudore. Alla gente non interessa».
Solo chi ricorda i giorni trascorsi sa guardare lontano, tentando di fare futuro. Una volta mi disse che abbiamo fatto troppo male al mare. Mi disse che nei suoi anni imbarcato sulle petroliere aveva contribuito a tale sofferenza. Anche per questo, forse, costruiva spazi liberi con quello che trovava e che la società del valore di scambio considera rifiuti. Toglieva la plastica dall’isola e costruiva case, giocattoli, creava opere.